Marina Manfredi Magillo, membro della Commissione Distrettuale Pubblica Immagine e Presidente della Commissione Azione Internazionale del RC Milano Linate, ha intervistato il Dott. Franco Bastagli, una lunga carriera alle Nazioni Unite, dove ha ricoperto alti e diversificati incarichi, alla sede di New York e sul terreno, compreso il ruolo di Vice Segretario Generale dal 2001 al 2006.
ll Dott. Bastagli può essere considerato un “amico” del Distretto Rotary della Città Metropolitana di Milano. È infatti stato protagonista di un animatissimo InterClub che si è svolto online il 1° marzo scorso, sul tema “ONU: funziona o non funziona?”, organizzato dal RC Milano Linate. Data la sua lunga esperienza internazionale e uno specifico vissuto in Ucraina – Moldavia con l’Unione Europea nel 2014-2015, cerchiamo da lui i lumi per meglio comprendere quest’aggressione angosciosa nei confronti di un paese europeo.
Siamo tutti molto colpiti dalla fiera e coraggiosa reazione del popolo ucraino all’aggressione russa. Tu che in Ucraina hai lavorato, e vissuto a Odessa nel 2014-15, quali sono le tue impressioni sulla forza della democrazia in quel paese?
L’Ucraina è un paese importante per le sue dimensioni, il suo posizionamento geografico e strategico, e per la sua economia, attuale e potenziale. Vi è tra gli ucraini un’aspirazione diffusa nei confronti dell’integrazione europea. Ma coesistono anche differenze etniche, ideologiche e culturali. La parte orientale del paese è più affine alla cultura slava e ortodossa; la parte occidentale, dove Leopoli è la città principale, è legata a tradizioni cattoliche, alla Polonia, all’Impero Austro-Ungarico. Si tratta di una nazione giovane, nata come stato moderno indipendente solo dopo il collasso sovietico. Le istituzioni sono fragili e Governo, Pubblica Amministrazione, e Sistema Normativo necessitano ancora di molto tempo e grandi sforzi per crescere radici democratiche. Rimane anche molto da fare per combattere la corruzione e contenere gli oligarchi, che continuano a esercitare una grandissima influenza su economia e politica.
L’attuale, tragica esperienza collettiva sortirà comunque l’effetto di rafforzare una narrativa comune ed eroica, e un’identità nazionale condivisa. Anche da questo punto di vista, il Cremlino rischia di fallire nei suoi obiettivi.
Cosa si sarebbe potuto fare – o non fare – per prevenire ed evitare questi tragici avvenimenti?
Premetto che nulla di quanto fatto, o non fatto, da parte dei partner europei, né le eventuali debolezze di gestione del dossier Ucraina, giustificano la feroce aggressione russa. Ma credo che in passato ci sia stata una certa incapacità, o scarsa volontà, di vedere le cose – che si trattasse di rapporti con la Russia post-sovietica in generale o della questione ucraina in particolare – dal punto di vista dell’antagonista. Questo sforzo è indispensabile per cercare di risolvere i disaccordi con il minimo possibile costo per tutti, identificando possibili compromessi senza venir meno ai propri scopi fondamentali.
È comprensibile che la NATO, un’alleanza militare stabilita per controbilanciare il blocco sovietico ai tempi della Guerra Fredda, continui a essere vista da Mosca come una presenza contraria alla sua sicurezza – e ciò da ben prima dei tempi di Putin. Basti pensare, nel teatro europeo, ai 78 giorni di bombardamenti NATO sulla Serbia, all’epoca il principale alleato di Mosca nei Balcani. La graduale estensione NATO a più di una dozzina di paesi dell’ex sfera sovietica ignorando i vari appelli di Mosca, incluso quello di aprire un tavolo negoziale in materia di sicurezza, è uno dei fattori più rilevanti della crisi. In altre parole, benché sia giusto accusare Putin di aver agito in anni recenti secondo una mentalità da Guerra Fredda, l’approccio prescelto dai paesi occidentali non sembra essere stato molto diverso.
In quanto alla questione ucraina, ci sono state alcune circostanze in cui ancora era possibile una gestione più graduale del passaggio – peraltro inevitabile dati i vantaggi dell’Unione Europea e la totale incapacità russa di offrire una credibile alternativa – dell’Ucraina nel consorzio delle democrazie occidentali. Ad esempio, l’accordo raggiunto nel febbraio 2014, in piena crisi del governo Yanukovich, tra EU, Francia, Germania, Usa e Russia per un governo di unità nazionale, fu abbandonato a mio giudizio con troppa facilità dai partner occidentali. Anche una temporanea finlandizzazione avrebbe potuto essere una possibilità da considerarsi seriamente per una gestione più graduale verso il futuro.
Ciò tanto più che dal primo giorno dell’insediamento del governo riformista, il messaggio dell’Unione Europea alle autorità e al popolo ucraino rispetto all’integrazione nell’Unione è stato, e ha continuato a essere: voi non siete pronti, noi non siamo pronti. Gli obblighi e le procedure per entrare in UE sono molto complessi: la Polonia ha impiegato più di dieci anni per farcela. Un avvicinamento graduale avrebbe dato spazio per un rafforzamento dello stato e delle istituzioni ucraini, che era comunque necessario, senza il peso incombente della pressione russa. Si sarebbe anche lasciato più tempo per la ricerca di compromessi.
In termini generali, ritengo che questa crisi sia emblematica del fatto che tra Europa occidentale e Russia esista un problema irrisolto da lungo tempo. Non è necessario scomodare Napoleone o Hitler per ricordare che la forza non è mai stata una soluzione nei rapporti reciproci. Pur nella totale condivisione degli ideali di democrazia e libertà tra alleati, l’Unione Europea deve convincersi che la sua agenda russa e, conseguentemente, ucraina, non può continuare a essere identica a quella di Washington. Gli Stati Uniti hanno una visione competitiva della Russia caratterizzata dalla natura dei rapporti tra superpotenze nucleari, antagoniste nei loro interessi strategici. Che ci piaccia o no, per noi la Russia è un condomino nella comune casa europea. Per ragioni geografiche, storiche, economiche e di sicurezza dobbiamo prima o poi trovare – con o senza Putin – un sostenibile modus vivendi col vicino di casa. Troppo spesso ancora oggi l’Unione Europea guarda la Russia con occhiali fabbricati a Washington. Dalla caduta del Muro di Berlino questo è diventato sempre meno comprensibile.
A cosa punta la strategia del Cremlino? Si limiterà alle sole regioni contese nell’Ucraina orientale o esiste il rischio di un’estensione del conflitto?
Ad oggi, la situazione sul terreno non permette di capire quale sia la strategia russa: instaurazione di un governo fantoccio a Kiev? Uno smembramento del paese secondo sfere d’influenza? Un compromesso che soddisfi almeno alcune delle richieste russe? Sciaguratamente, più il costo della guerra aumenta in termini di vite umane, di distruzione e di collasso economico, più è difficile per entrambe le parti trovare compromessi che giustifichino questi costi agli occhi dei rispettivi popoli. Il conflitto rischia di diventare più difficilmente risolvibile.
È preoccupante la diffusa impressione che neanche Putin, fallita l’aspettativa iniziale di una Blitzkrieg con immediato collasso ucraino, sappia oggi dove voglia arrivare; egli sembra vivere alla giornata ricorrendo a feroci misure da macello su un popolo innocente. Ma le pressioni su di lui, come sui leader ucraini, sono fortissime: potrebbe risultarne una sorta di cessate il fuoco che deleghi a un processo negoziale le molte questioni irrisolte. Ciò sarebbe imbarazzante, soprattutto per i russi.
Le sanzioni occidentali contro la Russia sono state definite da Putin “azioni di guerra”. Ritieni che i paesi europei corrano dei rischi?
Nella logica di un conflitto ibrido, anche le sanzioni possono essere considerate – come, ad esempio, gli attacchi informatici – atti di guerra. Ma non credo proprio che il conflitto sul terreno possa estendersi ad altri paesi. Il suo impatto sull’Europa occidentale sarà soprattutto economico – nel mercato finanziario, nei costi energetici e quindi di produzione, nell’approvvigionamento di derrate alimentari, grano in particolare. Per non parlare delle conseguenze negative sulle politiche di difesa ambientale che, ancora una volta, passeranno in seconda fila di fronte alle necessità economiche immediate.
L’ONU può fare qualche cosa?
Ciò che è accaduto è emblematico dei limiti del Consiglio di Sicurezza, l’organo ONU che ha mandato per la pace e sicurezza internazionale. Come membro permanente del Consiglio, la Russia ha diritto di veto sulle sue decisioni e ha utilizzato tale potere per impedire al Consiglio di agire. A livello politico, l’unico atto rilevante è la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’organizzazione, dove non esiste diritto di veto, che ha dimostrato quanto sia diffusa tra gli stati membri la totale condanna per l’aggressione russa. Anche se ciò ha un valore largamente simbolico, costituisce comunque un messaggio preoccupante per il Cremlino.
A parte questo, l’ONU è molto attiva sulla questione tramite agenzie umanitarie come l’UNICEF. L’Agenzia per i Rifugiati, diretta dal nostro bravissimo connazionale Filippo Grandi, oltre a essere la fonte primaria di dati sul flusso di rifugiati sia dentro come fuori dal paese, gestisce un massiccio programma di assistenza. L’Agenzia per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite, con sede a Vienna, sta trattando con russi e ucraini per minimizzare i gravi rischi che il conflitto può causare per le centrali nucleari ucraine.
Cosa può fare un’organizzazione come il Rotary per aiutare efficacemente in questa fase?
Le necessità sono grandi: tutto serve! Il volontariato è molto importante e svolge un grande compito, anche nei paesi d’accoglienza dei profughi. In una situazione prolungata d’emergenza, tuttavia, rispetto alle problematiche di raccolta, trasporto, e distribuzione degli aiuti materiali, risultano maggiormente efficaci i contributi finanziari. Questi contributi si possono gestire in modo più flessibile e rapido in risposta a necessità in continua evoluzione.
E gli appelli per la pace servono?
Queste manifestazioni possono essere motivate da considerazioni diverse, ma costituiscono comunque uno stimolo forte a entrambe le parti verso la ricerca di compromessi.
Il senso di tragedia è condiviso, quindi preme anche sulle scelte di Mosca. Abbiamo visto anche i cittadini russi manifestare nelle piazze di alcune città, pur con pesanti conseguenze per i dimostranti. E sicuramente anche a Washington c’è il desiderio che il conflitto si risolva al più presto. Questo non solo per considerazioni umanitarie, ma anche perché il protrarsi del conflitto potrebbe evidenziare ulteriormente i limiti del sostegno offerto all’Ucraina e della risposta degli alleati occidentali all’aggressione russa.
Questi 14 giorni di guerra hanno spinto l’Unione europea a “reinventarsi”: adozione di sanzioni senza precedenti, decisione di concedere per la prima volta la protezione temporanea agli ucraini che fuggono, accoglienza dei rifugiati, forte spinta verso una politica comune europea di difesa, un ripensamento sulle strategie di politica energetica… Una svolta?
Sicuramente, tale reazione forte e condivisa è un precedente importante per l’Europa; speriamo che questo spirito unitario si estenda oltre l’emergenza.
Come detto, a medio termine l’Europa occidentale dovrebbe interrogarsi di più sul suo ruolo per arrivare a una conduzione più autonoma dei rapporti con la Russia. Io credo che alcuni leader europei, soprattutto nei paesi che non hanno fatto parte del blocco sovietico, siano pienamente coscienti di ciò. Fino ad ora però sono mancati il coraggio e l’unità d’intenti necessari a trarre le conseguenze da questa convinzione.
Personalmente, non mi sorprenderebbe che alla stretta finale, dopo tutti gli sforzi diplomatici espletati da Macron e da Bruxelles, sia il presidente Biden a occupare la scena. Niente di male in questo, eppure credo che, nell’interesse collettivo, sarebbe utile che l’Europa si abituasse a camminare di più sulle sue gambe.
Marina Manfredi Magillo
Membro della Commissione Distrettuale Pubblica Immagine e Presidente della Commissione Azione Internazionale del RC Milano Linate