Il 23 Febbraio in 8 sale del Distretto è stata organizzata “Corazzata Fantozzi”, una manifestazione finalizzata alla raccolta fondi per Polio Plus in occasione dell’anniversario del Rotary International.
La scelta sulla serie di Fantozzi si spiega sia con la disponibilità di un numero sufficiente di diverse pellicole, sia con il particolare successo del personaggio creato da Paolo Villaggio, un personaggio che con le sue vicissitudini ha accompagnato oltre venti anni di Storia d’Italia.
A Lissone, in occasione della proiezione del film “Fantozzi in Paradiso” promossa dal Gruppo Brianza 1, il Rotary Nord Lissone ha chiesto la presenza e un commento prima della proiezione a Giuseppe Rauso, critico cinematografico che ha così rappresentato il periodo.
Meditazioni intorno a Fantozzi
Nel marzo 1975 Salce e Villaggio portano sullo schermo Fantozzi, il personaggio creato dal comico genovese in due libri di successo (Fantozzi, 1971 e Il secondo tragico Fantozzi, 1974). Come è noto, si tratta delle disavventure del più sfortunato e timido impiegato d’Italia, una figura di perdente di cui tutti si fanno beffe e di cui chiunque può approfittare. Il nostro antieroe, sposato ad una moglie rassegnata (Liù Bosisio) e con una figlia di rara bruttezza (in realtà un ragazzo, Plinio Fernando), invano corteggia la collega (Anna Mazzamauro) che peraltro non è una gran bellezza, riuscendo solo a rendersi ridicolo davanti ai colleghi che non perdono occasione per rifilargli i loro carichi di lavoro. Nell’azienda, in cui presta servizio da anni, a stento lo conoscono ed è escluso che egli possa mai fare carriera. Anche le attività che Fantozzi svolge nel tempo libero risultano banali e perseguitate da un fato avverso: una partita di calcio che termina nel fango e una gita in campeggio foriera di ogni sorta di ridicolo incidente
La pellicola costituisce, a suo modo, un’anomalia nel contesto incandescente degli anni settanta. Mentre infuria la lotta di classe, esplodono bombe ed il terrorismo si avvia a dominare la scena politica, il film di Salce e Villaggio evoca un’Italietta semiscomparsa che ricorda semmai il ventennio ed il primo dopoguerra con questi impiegati svogliati e invidiosi, non troppo dissimili da quelli descritti in Le miserie del signor Travet, filmate in un’ottima pellicoda di Mario Soldati del 1945. Fantozzi è il piccolo borghese che non sa dove stia di casa la rivoluzione, che percepisce i propri superiori come appartenenti ad una sfera inarrivabile e che vive in una mediocrità di cui è pago e felice. Le sue orribili feste in ambienti desolati, la sua vecchia bianchina, le partite a tennis nella nebbia, le vacanze in modesti campeggi sono il contesto naturale del nostro antieroe, contesto del quale egli va quasi fiero. In ogni caso non ne desidera un altro. Fantozzi è un conservatore rassegnato nell’era della rivoluzione marxista e i suoi colleghi, per quanto più svegli e fortunati di lui, non hanno ambizioni differenti: frequentano gli stessi luoghi di intrattenimento, tirano a campare sul lavoro (anziché sbrigare le pratiche perdono tempo in giochi infantili) e non posseggono né una coscienza di classe, né un viscerale odio nei confronti dei loro “padroni” che, più volentieri, definiscono “datori di lavoro”. Certo sono impiegati invidiosi, consci tuttavia delle naturali diseguaglianze presenti nella realtà sociale; non si sognerebbero mai di prendere il posto dei loro “padroni”, per svolgere mansioni per le quali, appare a tutti evidente, non avrebbero alcuna reale competenza.
Negli anni di piombo, l’enorme successo commerciale di Fantozzi costituisce un segnale inequivocabile: la grande massa degli Italiani guarda con simpatia a questo perdente senza qualità, rassegnato al proprio destino modesto ma anche sicuro (possiede comunque una casa, un’auto, una moglie, una figlia, uno stipendio, una futura pensione…); tale massa sociale si sente ovviamente superiore a questo bizzarro soggetto e, tuttavia, sembra condividerne la visione tradizionale e, in qualche modo, atemporale, basata su una rigida gerarchia delle classi sociali le quali, come negli anni ormai lontani del ventennio, sono tenute a collaborare quotidianamente (e non a lottare in modo conflittuale) per ottenere risultati minimi di produttività dai quali dipende il benessere di tutti. Il trionfo di Fantozzi – una commedia di puro intrattenimento, situata agli antipodi del cosiddetto cinema “impegnato” o “d’autore” – è un segnale tranquillizzante: gli Italiani approvano l’atteggiamento perplesso e rinunciatario del ragioniere Ugo come pure il suo contesto aziendale pacificato, nel quale le uniche tensioni sono quelle basate su piccole gelosie e su marginali rivalità amorose nei confronti di una collega un po’ civetta.
L’anno seguente, con Il secondo tragico Fantozzi (marzo 1976) Salce e Villaggio replicano la buona riuscita del primo episodio.
Il cuore di questa seconda puntata è il celebre ed esilarante episodio de “La corazzata Kotionkin” ossia una tagliente satira de La corazzata Potemkin di Serghej Eisenstein. Quest’ultimo, mero film di propaganda girato nel 1925 (per il ventennale della rivoluzione del 1905), pur annoverando sequenze suggestive, era un film di sostegno alla giovane rivoluzione russa nel quale si modificavano i fatti della reale rivolta di Odessa e si troncava la narrazione nella fase in cui i ribelli ottenevano una sterile vittoria iniziale, senza poi raccontare il tracollo complessivo che seguì alle successive peregrinazioni del Potemkin in fuga da Odessa: insomma un’opera, a suo modo, falsificazionista a scopi celebrativi eretta, dalla cultura di sinistra più ortodossa e intransigente, a classico della storia dell’arte filmica. Un “classico”, per la verità, visto da pochissimi ed uscito in Italia in versione ufficiale solo nel 1960 (insieme ad Alexander Nevsky e La congiura dei Boiardi, tutti inediti nella penisola). Sebbene il grande pubblico lo immagini come un film di una lunghezza insostenibile, la pellicola dura, in realtà, solo 70 minuti.
Nel film di Salce un dirigente “illuminato” obbliga i suoi dipendenti, tra cui il povero ragioniere, a reiterate visioni di quella pellicola fino a provocare la ribellione dei sottoposti (una ribellione che risulta essere una versione caricaturale ed umoristica di quella dei marinai di Odessa), per l’occasione guidata proprio da Fantozzi. E’ una situazione tutt’altro che sciocca: in qualche modo il regista e il comico ligure mettono in scena una situazione tipica dell’Italia dell’epoca in cui una media borghesia snobistica, orientata a sinistra, infligge costanti sermoni sulla grandezza della cultura socialista, ad una classe piccolo borghese scettica ed irritata. A quello stato di cose Salce e Villaggio hanno il coraggio di rispondere con insolito coraggio, mettendo in scena una radicale satira di quel genere culturale che afflisse buona parte degli anni settanta, trovando terreno fertile soprattutto nei cosiddetti cineforum e cinema d’essai. Ovviamente in quelle sale passavano numerosi, indiscutibili capolavori (percepiti come tali ancora oggi) ma anche un’enorme quantità di paccottiglia il cui unico merito era quello di esaltare la cultura comunista/egualitaria esistente al di là della cortina di ferro oppure di proporre un linguaggio filmico scomposto e disordinato (si pensi a tutto Godard) quale allegoria di una auspicata rivoluzione da mettere in atto nelle strutture sociali, sempre guardando a Mosca come a un faro di civiltà. L’esplosivo episodio presente ne Il secondo tragico Fantozzi e l’enorme successo che arrise alla pellicola sono pertanto i segni liberatori di quella cultura borghese rimasta immune dal verbo socialcomunista e felice, finalmente, di poterne ridere.
Non solo Fantozzi e compagni si ribellano, ma sequestrano il dirigente cinefilo e lo obbligano a sorbirsi, per tre giorni, le proiezioni di film (si tratta di Giovannona Coscialunga, L’esorciccio e La polizia s’incazza; quest’ultimo è un titolo di fantasia) che appartenevano all’altra sponda filmica, quella conservatrice e, a tratti, reazionaria, delle commedie erotiche e dei poliziotteschi.
Il personaggio Fantozzi verrà poi ripreso in altri sette film (dal 1980 al 1999), affidati (quasi tutti) alla regia di Neri Parenti. Tali pellicole, tutte concepite come innocui “cine-panettoni” natalizi (usciranno tutte in dicembre), in un contesto sociopolitico ormai pacificato, non aggiungono molto ai due superbi e trasgressivi capitoli degli anni settanta.
Giuseppe Rausa