Istruttore Distrettuale PDG Alberto Schiraldi
Il villaggio globale è diventato il nostro contesto socio-culturale, un contesto che non equivale ad un mosaico di tessere composte a formare un’immagine coerente, ma un puzzle di eventi e ruoli confusamente interconnessi che, avendo smarrito il tradizionale riferimento, l’Uomo, cioè ognuno di noi, sono dettati dalle motivazioni macro-economiche che caratterizzano questa aberrazione etnica, sociale e politica. La globalizzazione ha infatti un solo scopo: omogeneizzare il mercato attraverso un processo di omologazione culturale che semplifica la circolazione di merci e capitali.
L’auspicata sinergia di differenti culture, l’utopia di una concorde società di nazioni, favorita dallo sviluppo di mezzi di trasporto e comunicazione, non sono di questo mondo. La cosiddetta “integrazione sociale” si limita spesso ad una banale ripartizione di ruoli, che cela un latente e mai scomparso razzismo, e favorisce l’imbarbarimento delle lingue, oggi tutte contaminate da un amerikanopronunciato e scritto a piacere.
In un simile contesto le individualità scompaiono, poiché vengono privilegiate le strutture sovrapersonali, cioè le “companies”, i consorzi, le “unioni”, mentre il ruolo del singolo, sia esso persona o nazione, conta sempre meno. Gli interessi di una global enterprisepossono scatenare una bancarotta generalizzata, la cui onda lunga si sposta inesorabilmente da oriente a occidente, da nord a sud del globo, producendo nuovi squilibri socio-politici e aggravando quelli antichi.
Il contesto globale diventa così il presupposto per nuove sopraffazioni. Non più terre da conquistare, né popoli da asservire, né poveri da ghettizzare: questa era la politica degli imperi antichi e recenti. Oggi la politica degli Stati è condizionata dalla pulsione a inventare nuovi mercati dove vendere a nuovi acquirenti, acquistando a basso costo materie prime e forza lavoro, indipendentemente da confini, distanze, trattati e patti di non belligeranza. La qual cosa può perfino assumere le sembianze di aiuti umanitari a popolazioni in difficoltà, di “salvataggio” di aziende e ex-imperi economici, di questa o quella dinastia imprenditoriale, e perfino di intere nazioni.
Globalizzare ha significato smarrire le identità, i punti di riferimento, le peculiarità variegate della vita intelligente di questo pianeta. I disordini, i moti di ribellione, gli integralismi contrapposti, col corollario di insensati vandalismi, guerre e terrorismo, nascono dall’eccesso di iniquità patito dai singoli, dalla mancanza di “vision” socio-politica delle classi dirigenti, mancanza che è allo stesso tempo causa ed effetto della globalizzazione.
Lo scenario è certamente più disperato di quello della Chicago degli inizi del XX secolo. In quel contesto l’esiguo gruppo di amici di Paul Harris seppe intravedere una via di uscita e lanciare il messaggio del Rotary, destinato a raggiungere i quattro angoli della Terra. Un messaggio che non ha impedito (e nemmeno ostacolato) le tragedie di guerre calde e fredde, ma ha sempre contribuito a far riprendere il cammino dopo ogni tempesta. Questo ruolo deve essere rinnovato e riformulato, in risposta al mutato contesto del mondo.
Possiamo e dobbiamo restare coerenti con origini e motivazioni del nostro Sodalizio che difende e rispetta la singola persona. Il Rotary è il mosaico formato dai Rotariani, i quali, ciascuno nel territorio del proprio Club, cioè in un ben definito contesto culturale, sociale e politico, sono i “rappresentanti” di ogni professione “utile”, ovvero destinata ad integrarsi con tutte le altre e favorire la vita attiva di tutte le componenti della società, promuovendo relazioni amichevoli tra individui, indipendentemente dalle differenze di razza, religione, credo politico, usi e costumi. Il che non significa azzerare queste differenze, ma rispettarle e contribuire a conservarle nel modo più proficuo possibile in vista del bene di tutti e di ognuno. Il Rotary infatti è “inter-nazionale”, non è “globale”, né tanto meno “globalizzato”. Il Rotary sostiene la “biodiversità” culturale e osteggia ogni forma di sopraffazione. Salvare, conservare, proteggere l’Uomo, indicandolo come scopo (e non mezzo) di ogni attività, è la sostanza del messaggio rotariano.
Il rotariano è persona che sa ascoltare, perché vuole comprendere e farsi comprendere: non si colloca al di sopra degli altri, ma in mezzo agli altri, perché è uno degli altri. Il Rotariano sa dare, ma è disposto a ricevere e recepire, perché pratica la “tolleranza a due vie”, cioè la tolleranza vera, e crede nell’umanità variegata, multiforme, multicolore, ricca di contrasti e contraddizioni, fatta da persone e non da “consumatori”, dove l’individuo non è sopraffatto dalla Comunità, ma è componente essenziale e paritetica a tutte le altre nella definizione stessa della Comunità.
Questo è il nostro compito, questo il profilo dei Rotariani del secondo secolo del Sodalizio: scegliamoli bene affinché il Rotary possa continuare ad essere un protagonista positivo della moderna Umanità e non diventi l’ennesimo tocco di maquillage per il subdolo demone del villaggio globale.
Dalle parole ai fatti.
Ognuno di noi può veramente poco, ma il nostro Club può molto di più. Citando il nostro fondatore, Paul Harris, possiamo così sintetizzare: Rotary offers an organized approach to providing service to the community. Collectively, Rotarians achieve what individuals cannot accomplish on their own. It is when club members begin to experience the “collective altruism” of membership that they become Rotarians.
Purtroppo le attività dei nostri Club si limitano spesso alla programmazione di relazioni di interesse culturale e/o di attualità fine a se stesse, cioè senza concrete conseguenze nella programmazione di progetti che possano coinvolgere i Rotariani con le loro specifiche competenze professionali, quelle cioè che dovrebbero costituire la principale motivazione della loro cooptazione nel Club. Se questa prassi è divenuta una gradevole consuetudine per alcuni (forse molti), dobbiamo vedere in essa la principale causa della perdita di interesse per il Rotary da parte di coloro che, sempre più numerosi, lasciano i nostri Club. Questo modo di stare nel Rotary è un gioco che non vale candela, sicché diventa facile disamorarsene. Si tenga presente che perdiamo 1/3 dei soci con meno di 5 anni di anzianità rotariana: scelte errate da parte dei presentatori o aspettative del neo-socio tradite dalla inefficienza del Club?
Dobbiamo tornare a sentirci una elite. Dobbiamo restituire ai nostri Club la capacità di fare opinione, cogliendo le opportunità di partecipazione e di intervento nella nostra comunità. Questo rinnovamento comincia nei Club e, soprattutto, comincia dalla selezione dei Rotariani. Cercare con attenzione i nuovi Rotariani fa parte del nostro dovere verso il Club e verso il Rotary. Non basta che siano buoni amici. Abbiamo bisogno di persone capaci di essere protagonisti, poiché ai nuovi Rotariani competerà di proporre scopi, programmi e regole del Rotary International. Un consiglio? Proponete sempre candidati nei quali vedete il futuro presidente del vostro Club. Scartate gli altri, anche se sono ottime persone e buoni amici.
L’effettivo dei Club deve essere consolidato, ancor prima che incrementato. Lo “zerista”, cioè il socio che non dà più notizia di sé e non sa rendersi disponibile e quindi non porta nessun contributo al Club, deve essere dismesso e rimpiazzato con una persona dalla quale ci si aspetta un comportamento opposto. Lasciamo da parte questi casi patologici e pensiamo ai “normali” Club, dove latita il Rotariano tipo, cordiale amico di specchiate virtù, che purtroppo non vede nel Club il mezzo ideale per contribuire ad un mondo migliore. Questa persona ha tutte le buone intenzioni, ma non ha incentivi, e vede nel Club una struttura sostanzialmente sterile ai fini del raggiungimento di obiettivi chiari e pianificati, indispensabili per realizzare i “sogni del Rotary”: questi “sogni” richiedono infatti un impegno coerente e continuato, anno dopo anno. Ma spesso il presidente si limita a preoccuparsi del “mio anno”, senza curarsi del dopo e, soprattutto, senza capire che i Rotariani devono essere e sentirsi coinvolti, devono cioè poter partecipare.
La “Partecipazione”, intesa come attitudine a mantenersi in contatto, a trovare il tempo per aderire alle iniziative del Club e proporne delle nuove, a rendersi disponibili all’occorrenza, a informarsi sulla evoluzione dei programmi del Rotary International, è il mezzo per rinnovare il Club e l’intero mondo del Rotary, adeguandolo al nuovo contesto socio-culturale di questi anni. La Partecipazione e la condivisione sono gli strumenti adatti a consolidare l’effettivo del Club e renderlo efficiente. Il Club efficiente diventa anche efficace se i soci, scelti con criterio, sanno, a loro volta, scegliere dirigenti validi. Il Presidente di Club ha infatti un compito arduo e delicato, poiché gestire le attività del Club è difficile.
Non possiamo quindi pensare di reclutare soci “nuovi” con criteri “vecchi”. I Rotariani devono rappresentare il meglio del mondo professionale attuale. Le stesse “categorie” professionali non formano una lista codificata e definita una volta per tutte, ma rappresentano un indicatore della vita reale e vanno quindi aggiornate e integrate. Inoltre dobbiamo considerare che solamente l’11% dei Rotariani di tutto il mondo ha una età compresa tra 30 e 39 anni, mentre gli ultra-sessantenni sono il 50%. In altre parole, ogni socio dovrebbe proporre candidati di età inferiore alla propria, a parità di qualificazione professionale e disponibilità.
Queste prospettive conferiscono al tema dello sviluppo dell’effettivo una rilevanza ben superiore a quella del mero incremento numerico.
È possibile sensibilizzare i Club su questi temi? O è preferibile promuovere queste idee favorendo la creazione di nuovi Club? Dicono i Britannici: let aged Clubs die(lasciate morire i Club invecchiati). Attenzione “invecchiato” non significa vecchio, bensì superato, inutile, decadente: un appellativo adeguato anche per Club fondati solo qualche anno fa con eccessiva leggerezza, ma non applicabile ai quei non pochi Club di antica fondazione che sanno sempre dimostrarsi vitali ed efficienti.
Non c’è dubbio: dobbiamo cambiare, magari senza troppa fretta, ma ineluttabilmente, visto che, come scrive Paul Harris, “This is a changing world, we must be prepared to change with it. The story of Rotary will have to be rewritten again and again”.
Come fare?
L’unica soluzione è promuovere il lavoro di squadra: tutto il Club è una squadra. Una squadra che si conserva e si consolida anno dopo anno, una squadra che alterna nei ruoli più delicati alcuni dei suoi componenti, ma resta coerente e coesa secondo un programma concreto di cose da fare.
Che cosa fare?
Il Rotary ha quattro scopi fondamentali,
- lo sviluppo di rapporti interpersonali intesi come opportunità di servizio;
- elevati principi morali nello svolgimento delle attività professionali e nei rapporti di lavoro; il riconoscimento dell’importanza e del valore di tutte le attività utili; il significato dell’occupazione di ogni Rotariano come opportunità di servire la società;
- l’applicazione dell’ideale rotariano in ambito personale, professionale e sociale;
- la comprensione, la buona volontà e la pace tra i popoli mediante una rete internazionale di professionisti e imprenditori di entrambi i sessi, accomunati dall’ideale del servire.
Quanto detto sulla scelta dei Rotariani coincide con la sostanza dei primi tre scopi.
il quarto scopo ci spinge ad agire con una visione ampia dei problemi del mondo, perchè ci invita ad aprirci verso gli “altri”. Gli “altri” sono intorno a noi. Non abbiamo più bisogno di pensare a popoli lontani, a uomini con mentalità distante dalla nostra, con i quali stabilire rapporti amichevoli. I “Ponti di Amicizia” che il past President del Rotary International, il giapponese Mukasa, invitava a costruire agli inizi degli anni ottanta, sono stati anticipati dai ponti della immigrazione più o meno disperata, dalla “mobilità” dei posti di lavoro, dalla rete globale, dalle monete uniche, ecc. Questo tipo di ponti non ha creato “amicizia” né tanto meno amore, ma ha portato vicino a noi quelli che solo trenta anni fa cercavamo di contattare, tra difficoltà e intoppi di comunicazione. L’obiettivo dei nostri vecchi progetti di Rotariani è oggi accanto a noi. Le necessità di queste persone sono attualità della nostra vita quotidiana: il loro destino è inesorabilmente intrecciato col nostro. Possiamo operare con spirito “internazionale” appena fuori dell’uscio di casa.
I programmi umanitari ed educativi che contraddistinguono il nostro Sodalizio possono essere realizzati sul territorio dei nostri Club, come consentono oggi le norme della Rotary Foundation.
A differenza del passato, siamo invitati a coinvolgere enti e organizzazioni di livello internazionale nei nostri progetti per dare a questi uno slancio e una forza che permetterà di farli diventare di dominio pubblico. Certo, i progetti di minore portata rimarranno e potranno essere gestiti con grande semplificazioni procedurali, ma saranno i grandi progetti, scaturiti dalle nostre proposte, a fare l’immagine del Rotary del XXI secolo e dare al nostro Sodalizio quel ruolo internazionale che ci dovrà contraddistinguere.
Possiamo e dobbiamo cominciare a pensare “in grande”: siamo il Rotary, non un semplice club di servizio. Possiamo e dobbiamo divenire interlocutori preferenziali e super partes nelle sedi dove si decide il futuro dell’Umanità. La povertà, la fame, le malattie, l’alfabetizzazione, la salvaguardia dell’ambiente: ogni Club ha solo l’imbarazzo della scelta.
Pronti? Via.
Insieme, tutti i soci del Club, tutti i Club del Distretto, tutti i Distretti del mondo.
PDG Alberto Schiraldi, Istruttore Distrettuale