Gocce di End Polio Now – I appuntamento

Approfondiamo il tema della poliomielite

Come preannunciato nella newsletter di novembre, prende avvio questa rubrica dedicata all’approfondimento dei temi sulla poliomielite e sulla sua eradicazione. Cesare Cardani mi ha chiesto di collaborare con lui nella redazione di questi approfondimenti, in relazione alle mie competenze maturate attraverso l’esperienza di medico pediatra neonatologo presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, seguite dalla collaborazione con UNICEF per la realizzazione del progetto “Ospedale e Comunità amici dei bambini”.

MA CONOSCIAMO LA POLIOMIELITE?
Se oggi un bambino dice: “Ho male alla testa, mi sento la febbre, sono stanco e mi sento tutto rotto”, a cosa penserà la mamma? Probabilmente all’influenza, oppure, se è molto spaventata dalla pandemia che stiamo attraversando, al Covid-19.
Ma vorrei riportare tutti noi indietro negli anni con questo racconto.
Paul Alexander ricorda ancora il rumore della zanzariera che sbatteva in quel piovoso giorno di luglio del 1952 quando aveva 6 anni.
Era appena corso dentro casa dopo aver giocato nel campo dietro la sua casa di Dallas. Era febbricitante e gli faceva male il collo. Camminava a piedi nudi, trascinando il fango sul pavimento della cucina. La porta si chiuse dietro di lui. Sapeva che sua madre si sarebbe molto arrabbiata quando avesse visto tutto quello sporco, ma fu preso alla sprovvista dalla paura nella sua voce.
“Dio, per favore, no”, disse. Sapeva che in quel momento la poliomielite era arrivata per suo figlio.
L’infezione era iniziata con dolori al corpo e febbre alta, ma nel giro di poco tempo Alexander perse la capacità di camminare, deglutire e respirare. Poté sopravvivere grazie all’azione di un polmone d’acciaio. Si affida ancora oggi a un polmone di ferro per tenerlo in vita, ed è una delle ultime persone al mondo che ancora usano la macchina che lui chiama “grande lattina”.

(M.Charpentier, ALCADE – The official Publication of the Texas Exes- September-October 2020

“Dio, per favore, no”: leggendo queste parole, mi è sembrato di rivivere un mio ricordo: la voce spaventata di mia mamma che, quando da piccola avevo la febbre alta, chiedeva: “Dottore, non sarà polio…” e quando il medico se ne stava andando, dopo aver diagnosticato una infezione banale, concludeva “…ma dottore quando ci sarà qualche cosa per questa polio?
“Dio, per favore, no”: un bimbo andava a dormire la sera senza problemi e al risveglio non riusciva più a camminare perché le sue gambe erano paralizzate e, in alcuni casi, a respirare perché il suo diaframma era paralizzato.
Questa era ed è la poliomielite, malattia causata da un virus che ha la capacità, una volta entrato nell’organismo e nel sangue, di raggiungere il sistema nervoso centrale e qui danneggiare in modo irreparabile le cellule nervose del midollo spinale deputate al movimento.
Le conseguenze della paralisi, che il virus determina, sono differenti a seconda del tratto di midollo spinale interessato. La forma più frequente è la polio spinale con effetti devastanti più sui muscoli delle gambe che delle braccia.
Fino ad arrivare alla forma più grave quando il virus paralizza i muscoli innervati dai nervi cranici, riducendo la capacità di respirare, deglutire e parlare e portando quindi a morte. In questi casi, l’unico strumento per salvare la vita è il respiratore meccanico, un tempo il polmone d’acciaio, che è arrivato, nelle grandi epidemie degli anni 50, a riempire interi reparti pediatrici. Oggi sono disponibili strumenti più agili, ma sempre estremamente invasivi per la persona ammalata.
Come si prendeva la poliomielite? Se si va a cercare poliomielite in Wikipedia, si trova questa domanda con il verbo al passato, come se ormai la polio non ci fosse più. Magari fosse vero!
Per comprendere come il contagio si diffonda, e importante sapere che avviene attraverso l’ingestione di acqua o cibi contaminati; nella fase iniziale dell’infezione anche tramite la saliva e le goccioline emesse con i colpi di tosse da soggetti infettati. Il virus poi si moltiplica a livello intestinale e può diffondersi con le feci, ben prima che compaiano i sintomi. L’uomo è l’unico serbatoio naturale del virus.
La drammatica realtà è che, per una persona che sviluppa la paralisi, ce ne sono altre 100 che sono infette e possono diffondere il virus. Questo vuol dire, per tornare alla campagna del Rotary per eradicare la polio, che quest’anno, in cui sono stati diagnosticati 4 casi di paralisi poliomielitica, ci sono almeno 400 persone infette che amplificano il rischio di diffusione del contagio.
Per la poliomielite non esistono cure, ma solo trattamenti sintomatici che possono parzialmente minimizzare gli effetti della malattia.
L’unica strada per evitare le conseguenze di questa infezione è la prevenzione tramite la vaccinazione; di questa parleremo nel prossimo incontro.

Barbara Zapparoli