La rubrica della Rotary Foundation

L’alterità è una pulsione universale. È altrettanto vero che la filantropia si sviluppa secondo modalità differenti, influenzata, com’è, da dinamiche culturali e sociali. La Rotary Foundation rappresenta un osservatorio privilegiato per apprezzare la propensione alla filantropia espressa da quella parte dell’umanità privilegiata.

La filantropia dell’estremo Oriente, ma anche quella statunitense, sono certamente quelle più visibili, più “raccontabili” e sorprendenti e le loro storie – spesso iperboliche e glamour – suscitano di solito grande interesse a livello globale.
Noi rotariani, grazie alla partnership con la Bill and Melinda Gates Foundation, assumiamo tale importantissima esperienza, a simbolo del mecenatismo atlantico, ma sono numerosissime le esperienze filantropiche statunitensi, basti pensare a realtà come Giving Pledge, un impegno a donare in vita almeno il 50% del proprio patrimonio attraverso un semplice impegno morale; pensate che, a oggi, sono 187 di 22 diverse nazionalità le famiglie che hanno aderito a Giving Pledge. Ma sono talvolta innovative anche le forme societarie che si affacciano sullo scenario mondiale dell’altruismo: Mark Zuckerberg ha da poco avviato la sua organizzazione filantropica costituendola addirittura in forma di limited liability company.

Se ci riferiamo all’Oriente, al di là del dato puntuale offertoci dalla Rotary Foundation, possono essere molto interessanti (anche per comprendere alcuni trend della nostra Fondazione) i contributi offertici dall’economista indiano Parag Khanna che, nel suo Il Secolo asiatico (Ed. Fazi), ha riportato un interessante dato del World Giving Index secondo cui dal 2014 il Paese con il tasso più consistente di donazioni a titolo benefico è anche uno dei più poveri, il Myanmar; ciò viene messo in relazione alle profonde credenze religiose di quel popolo.
Non meno interessante l’approccio dei Paesi del Golfo, dove quasi il 90% dei cittadini ha effettuato almeno una donazione nel 2016. Spostandoci più a nord, tra il 2010 e il 2016, i primi cento donatori filantropici cinesi hanno triplicato il denaro versato arrivando a un totale di 4,6 miliardi. Sempre Khanna ci ricorda che, da quando Mohandas K. Gandhi persuase la prima generazione di industriali indiani, (come i Tata e i Godrej) a donare il 10% o più dei loro profitti annuali a una serie di cause come l’istruzione, la schiera di ricchi donatori indiani è cresciuta significativamente: in India le somme versate in beneficenza tra il 2010 e il 2016 sono aumentate di sei volte!

Quindi, è certamente vero che le grandi differenze nel contesto culturale ed economico consigliano cautela nel giudicare questi fenomeni, i quali devono essere valutati in base a parametri di riferimento diversi dai nostri.
E allora, se non ci riconosciamo in queste modalità, ricerchiamo le nostre origini, che sono le origini stesse della filantropia, philia e anthropos, amore verso l’essere umano, vocaboli che incarnano il ruolo di sostenitore e promotore dello spirito altruistico nato e sviluppatosi nel mare Mediterraneo.

Come ci ricorda la ricercatrice Paola Pierri in un suo recente saggio, nella lingua italiana il termine filantropia nell’ambito del settore non profit, indica coloro che, disponendo di possibilità economiche, affrontano il problema di come spenderle al meglio per raggiungere gli obiettivi sociali, culturali o ambientali desiderati; in questo senso il termine filantropia si contrappone e si accompagna a quella parte del settore non profit che, invece, ricerca sistematicamente fondi per finanziare le proprie attività sociali, culturali o ambientali.

In inglese questa contrapposizione tra chi – sempre nell’ambito del non profit – ha il denaro e chi lo cerca è ben resa dai termini grant-makers e grant-seekers, mentre nella nostra lingua non abbiamo distinzioni simili in grado di restituire la differenza sostanziale e operativa e ciò può forse essere all’origine di un malinteso ruolo di noi rotariani, portati talvolta a delegare tale azione meritoria al Club di appartenenza.
La consapevolezza dell’importanza della filantropia nell’accezione classica del termine e del recupero di un corretto rapporto con essa sta crescendo anche nel nostro Paese, entra nelle università, ad esempio nell’insegnamento e nelle ricerche di Giuliana Gemelli dell’Università di Bologna.

Ricerchiamo, anzi recuperiamo, le ragioni della nostra spinta filantropica ispirata alla gratuità e sentiamoci parte attiva, al pari del Governatore eletto Giuseppe Navarini, nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo della nostra Fondazione. Questo messaggio è rivolto a ogni singolo rotariano, il messaggio è indirizzato a ciascuno di voi, cari lettori e, spero, divulgatori di tale invito.

È da noi che dobbiamo partire e allora vi invito a celebrare l’anno del Governatore Navarini divenendo benefattori (versando almeno 1000 USD al Fondo di dotazione), Major donor (versandone almeno 10.000) oppure aderendo alla Paul Harris Society; si tratta, in quest’ultimo caso, di impegnarsi con la Fondazione a contribuire con 1000 dollari all’anno (anche con rateazione mensile), per contribuire a fare del bene nel mondo sostenendo programmi umanitari in tutto il mondo compresa la Campagna di eradicazione della poliomielite.

Il 92% di quanto viene versato alla Rotary Foundation viene direttamente reinvestito in programmi umanitari o culturali; pensate che lo scorso anno ben il 36% dei rotariani nel mondo ha personalmente contribuito (e non attraverso il suo Club) a sostenere la sua Fondazione; se non foste fra quel 36%, celebrate quest’anno contribuendo con almeno 1000 dollari, 3 dollari al giorno per costruire strutture igienico sanitarie, per favorire l’accesso all’acqua, per consentire a bambini di studiare, per garantire loro e alle loro madri una buona salute, da ultimo per sviluppare piccole economie locali; solo partecipando vi accorgerete che starete celebrando anche il vostro anno.