Sabato scorso ho avuto l’occasione di ascoltare una relatrice, che ci ha raccontato la storia dell’affresco realizzato nel 1935 da Mario Sironi, su commissione del regime dell’epoca, nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma.
Un’opera maestosa, che rappresentava l’importanza in Italia delle arti tra scienza e cultura, in un contesto evidente di simboli e celebrazioni di regime.
Al termine della guerra, quest’opera, esposta in un ambiente di grande visibilità, mise in imbarazzo le istituzioni. Fu così deciso dapprima di coprire l’opera con della carta, poi, considerato il pessimo effetto estetico, l’affresco fu completamente modificato al fine di non essere più riconducibile né al contesto storico né all’autore, e negli anni ’50 venne reso, nella sua nuova veste, visibile a tutti.
L’opera così modificata è rimasta tale fino al 2017, quando fu completamente restaurata e riportata alla sua versione originale e oggi è nuovamente visibile, nella pienezza del suo significato storico e artistico.
Non è mia intenzione, in alcun modo e per nessun motivo, entrare nel merito dei contenuti o del significato dell’opera. Né tantomeno quello di esprimere valutazioni di alcun genere sulle decisioni prese dalle istituzioni.
Quello che mi ha colpito è la vicenda nel suo insieme. La realizzazione di qualcosa, la paura dei suoi effetti, la censura e quindi il “seppellimento” dell’opera sotto la carta prima e i colori poi, la lunga permanenza, gli effetti procurati, e infine la sua riscoperta.
Mi ricorda inevitabilmente il processo che noi stessi facciamo spesso, troppo spesso, con le nostre esperienze. Tendiamo, a volte inconsciamente, a nascondere da qualche parte in noi, tutto ciò che ci ha fatto soffrire, che ci ha provocato rabbia e che ci spaventa per gli effetti che potrebbe avere. Lo teniamo nascosto, lo seppelliamo in noi, al punto di convincerci che non ci appartenga, che non sia parte di noi.
E conviviamo per lungo tempo con sensazioni ed emozioni che non siamo in grado di interpretare, di cui non riconosciamo l’origine. Sensazioni che condizionano profondamente il nostro vivere, che dettano spesso i nostri comportamenti, che non ci consentono spesso di vedere e riflettere lucidamente. E per impedire di riportare alla mente quelle esperienze, evitiamo tutto ciò che minaccia di farle rivivere.
Poi però ci rendiamo conto che non possiamo più fingere o trattenere queste istanze, e siamo costretti ad affrontare le esperienze e le emozioni che le hanno accompagnate, a elaborarle, e a farle diventare finalmente parte di noi. E in quel momento svaniscono la paura e la rabbia, e il dolore diventa nostro alleato, rendendoci finalmente completi e consapevoli del nostro vero essere. E su questa nuova consapevolezza possiamo davvero costruire un percorso di vita nuovo, stabile e sereno, al di là di ciò che siamo costretti ad affrontare, certi dell’armonia che abbiamo ritrovato.
Nell’accettazione di ciò che noi siamo, delle contraddizioni che ci caratterizzano, dei nostri inevitabili conflitti interiori, troviamo la forza di comprendere anche gli altri. Persone che come noi si cercano, lottano per crescere, per trovare gioia e serenità, semplicemente per vivere pienamente.
La consapevolezza dell’esistenza di questi conflitti, tra dolore e gioia, tra paura e amore, in ognuno di noi, ci può e ci deve spingere a percepire una profonda comunione, una complicità, un desiderio di avvicinarci, di confrontarci per percorrere insieme la nostra avventura nel mondo.
Da questa comprensione nasce anche la nostra volontà, come rotariani, di superare il desiderio di affermazione personale, per sostituirlo con la scelta di essere al servizio degli altri, per consentire a tutti, e a noi stessi, di crescere e sviluppare pienamente il nostro essere.
Riconoscere e rispettare la nostra storia personale significa riconoscere e rispettare la storia di tutti.
È solo mantenendo lo sguardo fisso verso i nostri superiori obiettivi e valori, che abbiamo deciso di condividere nel momento in cui abbiamo scelto di appartenere al Rotary, che saremo in grado di superare ogni contrasto, e di finalizzare ogni nostra azione, pensiero o dichiarazione unicamente al raggiungimento degli stessi. A tal fine, il test delle quattro domande di Herbert J. Taylor è sicuramente illuminante e sintetizza, in maniera efficace e completa, il codice di comportamento che ogni rotariano dovrebbe adottare nei rapporti con gli altri e con se stesso.
È stato detto: “Trovate sempre il coraggio di parlare e la voglia di chiarire. Perché i silenzi pesano come le pietre. E le pietre diventano muri. E i muri, infine, separano”.
Il Rotary non separa ma unisce, il Rotary è uno strumento di cambiamento positivo e di libertà, di crescita personale e collettiva. La storia del Rotary è anche la nostra storia. Il Rotary è parte integrante di ognuno di noi, della vita stessa. Anche se qualche volta può sembrare difficile, non dobbiamo ignorarla ma farla emergere nella sua pienezza, con tutta la sua potenza ed energia.
E allora in questa profonda e meravigliosa consapevolezza troveremo il coraggio di vivere, riscopriremo il coraggio e la forza di essere rotariani!
Riccardo De Paola