Parliamo di Pace

Nei precedenti articoli abbiamo imparato a conoscere cosa si intende e a quali valori ci confrontiamo quando parliamo di “Pace”:

  • Il 1° articolo della Costituzione dell’ONU
  • Sappiamo che la pace può essere negativa o positiva
  • Sappiamo, inoltre, che non possiamo comprendere la Pace se non siamo in grado di misurarla.
  • Come si misura la pace positiva

Lo scopo di questa rubrica è quello di far crescere la consapevolezza e la conoscenza dei fattori che possono favorire/sfavorire la Pace per giungere poi a riconoscere la storia e il ruolo del Rotary nella promozione della Pace.

Ora sappiamo come si misura la PACE POSITIVA (secondo i criteri del Global Peace Index). Ci sono 23 indicatori (ponderati da 1 a 5) suddivisi in tre categorie:

  • Conflitto interno e internazionale in corso
  • Sicurezza e protezione sociale
  • Militarizzazione

Prima di passare a come implementare e divulgare una cultura della Pace occorre sfatare i pregiudizi diffusi su terrorismo e religione quali fattori destabilizzanti e prendere coscienza delle minacce ecologiche e delle pandemie. Nel pensiero corrente si tende a identificare i motivi di tensione tra i popoli con gli atti di terrorismo o per la diversa appartenenza religiosa. Questo è solo in parte una causa, mentre il più delle volte non sono altro che “l’incarnazione” di disagi più ampi riconducibili alla sicurezza e protezione sociale.

Definire il terrorismo non è una questione semplice. Non esiste un’unica definizione accettata a livello internazionale di ciò che costituisce terrorismo e la letteratura sul terrorismo abbonda di definizioni e tipologie concorrenti. In questo articolo, per coerenza metodologica con il pensiero dell’IEP, viene accettata la terminologia e le definizioni concordate da TerrorismTracker: il terrorismo come “la minaccia sistematica o l’uso della violenza, da parte di attori non statali, a favore o in opposizione all’autorità costituita, con l’intenzione di comunicare un messaggio politico, religioso o ideologico a un gruppo più grande del gruppo o gruppo delle vittime, generando paura e quindi alterando (o tentando di alterare) il comportamento del gruppo più ampio.” Utilizzando questo criterio l’IEP pubblica ogni anno un rapporto dettagliato sul terrorismo nel mondo (Global Terrorism Index – GTI). Il GTI 2024 utilizza dati completi di TerrorismTracker e di altre fonti. È la risorsa più completa sulle tendenze del terrorismo globale e utilizza molteplici fattori per calcolare il suo punteggio, tra cui il numero di incidenti, vittime, feriti e ostaggi, e lo combina con conflitti e dati socioeconomici per fornire un quadro totale e completo del terrorismo. Nel 2023, i decessi per terrorismo sono aumentati del 22% a 8.352 decessi e sono ora al loro livello più alto dal 2017, anche se rimangono inferiori del 23% rispetto al loro picco nel 2015. Escludendo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, i decessi sarebbero ancora stati in aumento del cinque per cento.

Il terrorismo è una forza dinamica di destabilizzazione e il deterioramento globale della Pace Positiva fornisce un ambiente fertile per la germinazione del terrorismo. Pertanto, gli individui, le comunità, le organizzazioni e gli Stati devono rimanere consapevoli della possibilità che, se gli attuali cali della pace positiva continuano, la recente tendenza alla diminuzione dell’attività terroristica potrebbe essere invertita.

L’altro fattore che si pensa destabilizzante tra i popoli è la loro diversa fede religiosa. Dalla convinzione dell’assolutezza, veridicità e universalità della propria fede si giunge facilmente a forme “integraliste” di socializzazione e di convivenza. Il rapporto tra religione e pace è complesso e spesso frainteso. A causa in gran parte della crescente fissazione per il violento jihadismo islamico, è emerso un malinteso comune, anche se sfortunato, causando la continua associazione di religione e violenza. L’Istituto per l’Economia e la Pace mira ad affrontare alcune delle tante idee sbagliate che circondano la religione e la pace offrendo invece un’interpretazione compensativa e più empiricamente supportata di questa complessa relazione. Non esiste nessuna connessione positiva tra religione e violenza.

Nonostante la convinzione detenuta da alcuni e resa popolare da parte dei media che tassi più elevati di religione corrispondano necessariamente alla violenza, in particolare tra gruppi religiosi divergenti, i dati dell’IEP suggeriscono che non c’è correlazione tra i paesi meno pacifici del mondo e alti livelli di religiosità. Allo stesso modo, non esiste alcuna relazione statisticamente significativa – positiva o negativa – tra i Paesi più pacifici del mondo e i loro tassi registrati di religiosità. Altri fattori sono più statisticamente associati al conflitto e la religione può essere dirottata da gruppi violenti per promuovere le loro cause. Allo stesso modo, nonostante l’ateismo sia sostenuto in alcuni ambienti come panacea alla violenza globale, la ricerca indica che l’ateismo non influenza i livelli di pacificità. Ad esempio, sia la Nuova Zelanda che la Corea del Nord registrano tassi di ateismo superiori alla media – rispettivamente il 46% e quasi il 100%. Tuttavia, mentre il primo è classificato come uno dei paesi più pacifici dal GPI, il secondo si colloca costantemente tra gli ultimi 10. Cumulativamente, queste informazioni supportano la valutazione dell’IEP secondo cui, sebbene possano esistere tensioni religiose, altri fattori di stress preesistenti sono fattori causali più probabili.

Viene così dimostrato che la religione ha un impatto trascurabile sui livelli di conflitto globale, mentre è necessario mettere in luce alcuni dei fattori che portano a deterioramenti della pace. I dati oggettivi raccolti sostengono che i paesi in cui coesistono una pluralità di religioni sono in genere più pacifici. Il GPI indica che il tipo di regime è un determinante molto più convincente della pace o della sua mancanza rispetto alla religione. Le democrazie a pieno titolo sono le più pacifiche, seguite da democrazie imperfette e poi da regimi ibridi, e i regimi autoritari sono in media i meno pacifici. Inoltre, la corruzione, il PIL pro capite, la disuguaglianza, il terrore politico e la coesione intergruppo hanno tutti un impatto significativo sulla pace, dimostrando che gli investimenti in queste aree attraverso un impegno sostenuto per la pace positiva, faranno di più per ridurre i conflitti e costruire la pace piuttosto che un’enfasi eccessiva sul rapporto tra religione e violenza.

Nel prossimo numero approfondiremo l’altro tema destabilizzante della pace: Minacce ecologiche.