Che cos’è il digitale? Anche se è ormai parte integrante delle nostre vite, non è immediato rispondere a questa domanda.
Per me è essenzialmente un processo di trasformazione profonda, determinato dalla disponibilità combinata di più tecnologie accessibili a tutti (internet, il cloud, l’intelligenza artificiale, le reti fisse, mobili e convergenti ad alta velocità, i dispositivi smart, ecc.).
In quanto “trasformazione”, tale processo è irreversibile e guarda al futuro. Ha un forte impatto su tutti, a livello personale, familiare, lavorativo e di un’intera società. Rappresenta un cambio di paradigma che richiede un approccio, una cultura e una mentalità completamente nuovi: un digital mindset appunto. E lo richiede a tutti, indipendentemente dalla propria età, attività, professione o area geografica.
Questo scenario è sintetizzato efficacemente dal neologismo onlife, coniato dal filosofo Luciano Floridi. Non siamo più divisi in modo netto tra il digitale e l’analogico, tra il virtuale e il reale: ormai la nostra vita è immersa nella confluenza tra queste realtà e non ha nemmeno molto senso chiedersi in sé se siamo online o offline.
Tra l’altro è proprio di questi giorni la notizia di una maggior responsabilizzazione richiesta dalla UE alle big tech sui contenuti falsi, illegali o nocivi che circolano sulle loro infrastrutture (DSA – Digital Services Act): ciò che è illecito offline deve esserlo anche online.
L’evoluzione verso il digitale è stata senz’altro accelerata dalla crisi pandemica degli ultimi anni. Oggi tre italiani su quattro utilizzano abitualmente una pluralità di dispositivi digitali (smartphone, pc, tablet, smart tv, console di gioco, ecc.); il luogo dal quale ci si connette non ha più importanza e anche gli orari sono relativi: un italiano su quattro naviga spesso di notte (il 40% tra i giovani). La casa è diventata più attrezzata per la digital life e lo smart working, grazie anche alla disponibilità di connessioni ad alte performance. A livello anagrafico, si è registrato un incremento dell’uso del digitale in tutte le fasce d’età; ad esempio, gli over 65 online hanno abbondantemente superato il 50%, con un incremento di 10 punti percentuali rispetto al periodo pre-pandemico (corrispondente a oltre un milione di persone).
Ciononostante, rimane ancora un forte gap nelle competenze digitali, per le quali siamo agli ultimi posti in Europa, in termini di diffusione, di imprese che offrono formazione specifica ai propri dipendenti e di laureati in ambito ICT (Information Communication Technology).
A tal proposito, si pone una seconda domanda: per quale motivo si parla sempre più spesso della necessità di un nuovo “umanesimo digitale”?
Sicuramente il digitale può migliorare – e ha effettivamente migliorato – la qualità della nostra vita. Ad esempio, permettendoci di arricchire la nostra comunicazione, restare in contatto con parenti e amici lontani, accedere facilmente e rapidamente alle informazioni, svolgere la nostra attività lavorativa ed effettuare acquisti da qualsiasi luogo, seguire corsi formativi anche se tenuti in altri paesi, migliorare la gestione della casa, avere disponibilità ovunque dei nostri documenti, migliorare la sicurezza delle città, addirittura ci salva la vita con strumenti in grado di monitorare il nostro stato di salute.
Ma il digitale può anche diventare un luogo poco sicuro, nel quale si nasconde una serie di insidie, con una particolare attenzione ai più giovani. Di seguito alcuni esempi:
- l’utilizzo distorto dei social, che genera fenomeni di cyberbullismo (il bullismo attuato tramite i canali web e social, attraverso aggressioni verbali, molestie, ricatti, offese e varie altre forme di pressione, il cui scopo è di isolare e danneggiare qualcuno), body shaming (una forma particolare di cyberbullismo in cui viene preso di mira il fisico di una persona), flaming (l’uso di messaggi offensivi e provocatori, ad esempio per creare e “infiammare” delle vere e proprie risse virtuali), doxing (deriva dal termine inglese documents e dalla sua contrazione docs, pubblicazione di informazioni riservate e contenuti personali), impersonation (furto di identità social, ad esempio creando un falso profilo a nome di un’altra persona e utilizzandolo a suo danno), sexting (l’invio di materiale sessualmente esplicito online) e altre insidie della Rete;
- social engineering: attacchi che prevedono di manipolare e raggirare le vittime per ottenere informazioni sensibili, facendo leva sulle debolezze e i comportamenti umani; un classico esempio è il cosiddetto phishing: comunicazioni fasulle, create ad arte per convincere la vittima a cliccare all’interno di mail o SMS su link contenenti software malevoli (malware) o a fornire credenziali di accesso, conti bancari o altri dati; nel preparare un attacco, sfruttano spesso tutte le informazioni inserite sul web o sui social network;
- la dipendenza dal web, con una riduzione dell’interesse per ogni altra attività che non riguardi l’uso di Internet;
- la paura di rimanere tagliati fuori da esperienze o interazioni digitali gratificanti, una sorta di ansia sociale nota sotto l’acronimo di FOMO – Fear Of Missing Out;
- l’“infodemia”, uno dei tanti neologismi legati al mondo del digitale (dall’inglese infodemic, a sua volta composto da information ed epidemic): fa riferimento alla circolazione di una quantità rapida, eccessiva e incontrollata di informazioni, che può creare disorientamento, non solo nei casi in cui tali informazioni sono poco affidabili (in particolare notizie fake o “acchiappaclick”) ma anche quando notizie fondate sono date in forma ambigua o spettacolarizzata e sono fruite in modo frettoloso, superficiale e passivo.
Come possiamo agire e quali comportamenti adottare per ridurre tali rischi?
Innanzitutto, ricordando che il web è un luogo virtuale pubblico, popolato di persone, dove è opportuno mettere in atto una serie di pratiche e di attenzioni, come ad esempio:
- avere molta accortezza nella pubblicazione dei contenuti (foto, messaggi, commenti, ecc.) che potrebbero creare imbarazzo, mettendo anche a rischio la propria reputazione e quella dell’azienda o dell’ente di cui si fa parte;
- non farsi trascinare in discussioni che non portano a nulla;
- segnalare gli attacchi a chi gestisce le piattaforme e – nel caso di offese reiterate – anche alle autorità competenti, come la Polizia Postale o i Carabinieri;
- non cliccare sui link presenti nelle mail o negli SMS senza opportune verifiche e investire maggiormente sulla cybersecurity, in termini di strumenti e formazione.
E in particolare, a supporto e tutela dei giovani, è necessario:
- negli anni pre-adolescenziali, introdurre con molta gradualità l’utilizzo di tablet e smartphone;
- dare il buon esempio nella comunicazione online;
- attivare blocchi e filtri come di parental control per selezionare a monte i contenuti inappropriati e proteggere la navigazione dei minori;
- concordare delle chiare “regole di utilizzo” degli smartphone, ad esempio in termini di tempi e durata, per evitare le continue distrazioni e la perdita di ore di sonno;
- incoraggiare la ricerca di informazioni di valore, in ottica di sviluppo delle competenze;
- insegnare a puntare più sulla qualità che sulla quantità e ad avere un senso critico sulle cose;
- essere aperti al confronto e al dialogo con i giovani sui temi legati al web, monitorare eventuali cambiamenti negli atteggiamenti o nel modo di comportarsi.
Come sempre, la soluzione migliore è la conoscenza. In questo caso, l’educazione digitale e la diffusione delle competenze necessarie per diventare dei veri e propri cittadini digitali e indirizzare i giovani verso le professioni del futuro.
In conclusione:
- il digitale ci aiuta ad essere più informati, più efficaci, più connessi con gli altri, riducendo le distanze fisiche e riconquistando una risorsa preziosa come il tempo; è inclusivo perché porta tutti verso un miglioramento nella qualità della vita e la realizzazione dei propri sogni, a livello personale e lavorativo; offre nuove opportunità anche in termini di sostenibilità e impatto ambientale; questo perché mette al centro la persona (come cittadino, studente, paziente, ecc.) e utilizza i dati come fonte di conoscenza, informazione strategica e decisione;
- al tempo stesso, è necessario essere più consapevoli dell’effetto amplificatore fornito dal web e dei pericoli in cui è possibile incappare all’interno dei social network; e considerare il digitale come un mezzo per raggiungere i propri obiettivi e realizzare il proprio scopo, non come un fine;
- è possibile massimizzare i benefici e ridurre i rischi puntando sulle competenze e su un mindset digitali: in tal modo lo smart working, lo studio a distanza e le visite mediche da remoto aggiungeranno e non toglieranno qualità alle equivalenti esperienze in presenza, dando a tutti la possibilità di prendere il meglio e “miscelare” i diversi approcci all’interno della propria esperienza onlife.
Si rende quindi necessario lo sviluppo di un sistema educativo a 360 gradi, con un approccio sistemico in cui ognuno deve fare la sua parte.
Alcune istituzioni e aziende innovative hanno già avviato dei passi importanti. Lo stesso può fare il Rotary, coinvolgendo in occasioni formative e informative esperti di settore (ad esempio, sul tema della cybersecurity o dell’uso consapevole della tecnologia), facendo leva sulla capacità dimostrata in più occasioni di saper utilizzare efficacemente i nuovi strumenti di comunicazione, come ha insegnato l’esperienza di “Onde”.
Gli ingredienti principali? Responsabilità, leadership e fiducia.
Marco Pennarola
Head of Marketing Fastweb
Consigliere Rotary Club Milano Linate