Sfollati ucraini: numeri e condizioni dell’accoglienza

Matteo Villa dirige il Data Lab dell’ISPI – Istituto di Studi di Politica Internazionale,Think Tank milanese di lunga tradizione e di valore  internazionale. Matteo è il massimo esperto sul tema di politica delle migrazioni. Sotto gli affreschi del Tiepolo nella prestigiosa sede dell’Istituto, Palazzo Clerici, a Milano viene intervistato da Marina Manfredi Magillo, membro della Commissione distrettuale Pubblica Immagine e presidente della Commissione Azione Internazionale del RC Milano Linate. 

D: Parliamo di Ucraina, e cominciamo col dare i numeri (data di riferimento 15 maggio):
R: A quasi tre mesi dall’invasione russa in Ucraina, gli effetti della guerra sulle persone sono stati devastanti. Ai milioni di sfollati interni (numero incerto e in continuo aggiornamento, ma l’ultimo dato dell’IOM-International Organisation for Migration stima 8 milioni di persone) si aggiungono i 6,2 milioni di persone che hanno lasciato il loro paese, quasi tutti diretti verso l’Unione Europea.
Tuttavia, già 1,8 milioni di ucraini sono rientrati in patria, quasi un quarto di quanti lo avevano lasciato: attualmente il saldo in uscita è intorno ai 4,4 milioni, e si sta stabilizzando, perché a fronte delle molte partenze, parte degli sfollati sono tornati a casa – casa si fa per dire – e chissà cosa hanno trovato al rientro! La gran parte di loro, diciamo 2,5 milioni, staziona attualmente nei paesi limitrofi, soprattutto in Polonia e Romania. In Germania ne sono affluiti 350.000 e in Italia poco più di 115.000. Ci risulta che più di 800.000 siano andati verso la Russia, anche se i numeri non sono certi, né sappiamo quanti di questi vi siano emigrati volontariamente.
Siamo di fronte a nuclei familiari di sfollati ucraini, composti da donne adulte, bambini e anziani, una popolazione ben diversa da quei migranti che arrivano via mare dall’altra sponda del Mediterraneo (per l’80% uomini giovani ). Circa la metà sono donne, il 40% minori e il 10% uomini. Le stesse percentuali le troviamo nei profughi ucraini in Italia.
La composizione demografica incide moltissimo sui bisogni e sui costi dell’accoglienza necessaria. Il 40% sono bambini/minori, che dovrebbero in gran parte essere inseriti a scuola, un bel problema! Per le donne i bisogni sono diversi, ci sono esigenze sanitarie e di sicurezza… Ben 8.000 bambini sono stati dati alla luce nel primo mese fuori dall’Ucraina! I costi per l’accoglienza sono altissimi.

D: Volevo appunto parlare di costi. Di quanto c’è bisogno, quanto è stato stanziato, quanti soldi sono effettivamente arrivati ai beneficiari?
R: Al momento Unione Europea e Stati membri, in tutto, hanno stanziato circa 20 miliardi euro. É la metà di quello che servirebbe per accogliere gli sfollati in maniera decente per un anno. Si calcola infatti che il fabbisogno sia di circa €10.000/persona/anno: un costo medio di €27/giorno. Sappiamo però che un minore che va a scuola costa ben di più. Neppure 40 miliardi coprirebbero tutti i costi. L’Italia per ora ha messo sul tavolo circa 800 milioni di fondi italiani, che dovrebbero bastare per 115.000 persone: dunque se tutti i profughi attualmente in Italia già oggi facessero richiesta le risorse sarebbero già finite. L’Italia, dopo la Germania,  è una destinazione ambita rispetto ai paesi limitrofi: Francia e Spagna ne hanno accolti meno della metà. 
In Italia, dei soldi allocati, non è ancora stato erogato neanche un euro, neppure alle associazioni del Terzo Settore che gestiscono servizi di  accoglienza. Soltanto tre settimane fa è stato finalmente varato un bando per i Centri di accoglienza. Per gli autonomi, le risorse impegnate ci sarebbero, ma i moduli da compilare per chiedere i sostegni sono arrivati solo settimana scorsa, e adesso dovranno ancora attendere almeno fino a inizio giugno. Per adesso, nessuno degli sfollati che sono arrivati in Italia ha ancora visto un euro.
Questi soldi, per la stragrande maggioranza dei profughi che è alloggiata in maniera autonoma (circa 100.000 persone), bastano per tre mesi: sono €300 al mese a testa, per tre mesi.  Per i minori lo stanziamento è di €150 al mese; anche per una famiglia, questi importi sono sotto la soglia di povertà. La logica politica nella definizione dei sussidi era che l’importo per gli sfollati non dovesse essere superiore al reddito di cittadinanza.
E cosa succederà trascorsi i tre mesi?  L’Italia crede forse che gli ucraini se ne vadano? In Germania, mi dicono, i soldi sono arrivati da settimane. Anche i privati, che hanno accolto singoli o famiglie, non hanno ancora ricevuto nulla.

D: Ma perché, di questo, su giornali o televisioni  non si parla?
R: Perchè adesso le grandi paure della gente sono la crisi energetica, la crisi economica, le bollette! L’attenzione del pubblico si è spostata  verso altri problemi, che li toccano direttamente. Quando io parlo di migranti nei miei paper ISPI, o sui miei social, l’attenzione crolla. Noi siamo quelli che mal sopportano recessioni:  in Russia c’è un calo del 10% del PIL  e noi ci lamentiamo per una calo di crescita del 1,5%! Il senso di urgenza, di solidarietà verso gli sfollati, è scemato.
C’è una enorme paura dell’emergenza che arriverà anche in Europa. E noi abbiamo ricevuto “solo” 115.000 rifugiati, mentre i polacchi ne hanno ricevuti quasi 3 milioni. I campi profughi montati in Polonia, lontano da Varsavia, stanno diventando delle vere e proprie cittadine.

D: Cosa sta facendo l’UNHCR – Agenzia ONU per i Rifugiati?
R: L’UNHCR sta cercando di gestire la più grande  emergenza degli ultimi anni. Il totale delle persone rifugiate in tutto il mondo era 26 milioni. E qui in Europa ne sono arrivati 6 milioni in due mesi e mezzo! L’UNHCR fa quello che può, insieme all’UNICEF, con i soldi che sono riusciti a trovare grazie ai donors. Cercano di essere presenti dappertutto per far fronte all’emergenza, sono oberati, persino noi facciamo fatica a contattarli. Tra l’altro il pubblico dei rifugiati è ben diverso rispetto ai campi profughi che UNHCR è abituata a gestire nei paesi in via di sviluppo. Qui in occidente i campi devono fornire servizi di maggior livello, e quindi di maggiori costi. É anche un’operazione di immagine politica: l’UNHCR , per poter raccogliere i fondi necessari, deve dimostrare di avere la capacità di gestire una tale situazione.

D: E questa guerra non sta forse causando anche una nuova crisi, stavolta di emergenza alimentare, soprattutto nei paesi africani? Non rischiamo nuovi arrivi dal fronte del Mediterraneo?
R: C’è un paradosso molto brutto: più le persone stanno male, meno si spostano, più aumenta la cosiddetta immobilità involontaria. Certo, potrebbero aumentare le migrazioni vicine, di breve tragitto, da Tunisia ed Egitto. La migrazione tunisina era già aumentata dal 2020: in questi due anni sono sbarcati in Italia dalla Tunisia circa 70.000 persone all’anno, la metà rispetto ai massimi del 2014, ma comunque un numero importante da gestire. Il flusso è aumentato perché non c’era lavoro, era crollato il turismo, che ha un grande peso nel PIL tunisino. Adesso il turismo sta tornando, ma salgono i prezzi: l’indice dei prezzi alimentari della FAO è superiore a quello del 2011, quei famosi livelli cui  erano associate le primavere arabe. E quindi la gente parte.
Anche l’Egitto rischia tantissimo. Quasi un quarto del grano necessario arrivava da Russia e Ucraina: e l’Egitto sono 100 milioni di persone, tutti lungo un fiume. Gli egiziani che arrivano in Italia provengono in realtà dalla Libia, che è il paese più ricco del Nord Africa (tanto petrolio e solo 6 milioni di abitanti), dove erano occupati più di due milioni di lavoratori stranieri. Se però aumentano  i prezzi, alla mano d’opera straniera non bastano più i guadagni necessari per le rimesse da mandare alla famiglia rimasta in Egitto, e sono obbligati a partire per altri lidi.
Invece non mi aspetto nel breve periodo che arrivino in Italia profughi  dai paesi che stanno vivendo  la più grande crisi alimentare di oggi, cioè dal Corno d’Africa e dalla Somalia, dove centinaia di migliaia di persone stanno morendo di fame. In Etiopia, a causa del conflitto interno, l’intero paese è a rischio carestia. Quello che è sorprendente è che non se ne parli affatto. Che da lì partano nuove migrazioni però non è immediato, almeno a breve- medio termine.
I paesi in via di sviluppo ed emergenti stanno purtroppo vivendo oggi la tempesta perfetta: forte inflazione, alti prezzi alimentari proprio nell’anno in cui salgono i tassi di interesse; gli investimenti stranieri che si erano lì insediati ora ritornano un po’ alla volta in Europa e USA, perché diventa nuovamente conveniente investire qui da noi. Il deflusso di capitali stranieri manda quei paesi in crisi di debito, proprio ora in cui salgono alle stelle i costi per l’ approvvigionamento di derrate alimentari. Ci aspettiamo purtroppo una serie di default di interi Stati: il primo a fallire è stato lo Sri Lanka, altri seguiranno .
Tornando all’Italia, anche se i flussi dal Mediterraneo restassero all’attuale livello di 70.000 /anno, si aggiungerebbero comunque ai 115.000 ucraini che sono già qui. Se non riusciamo a gestirli bene, ci sarà una crisi d’accoglienza.
Questo è lo scenario che ci prospettiamo, una vera bomba a orologeria, nell’ anno che precede le elezioni.

Marina Manfredi Magillo
Membro della Commissione distrettuale Pubblica Immagine e Presidente della Commissione “Azione Internazionale” del RC Milano Linate