Il dott. Gabriele Visentin, Direttore al Servizio Esterno di Azione Europea (il Ministero degli Esteri UE) ed “EU Special Envoy” per l’Indo-Pacifico, si trova in Italia per un Convegno dell’Associazione “Centro in Europa”, organizzato a Santa Margherita Ligure l’8 aprile, nel centenario della firma del Trattato di Rapallo del 1922. Viene intervistato (seduti su un magnifico terrazzo vista-mare) da Marina Manfredi Magillo, membro della Commissione “Pubblica immagine” del Distretto e Presidente della Commissione Azione Internazionale del RC Milano Linate.
Si diceva dell’Europa che era un gigante economico ma un nano politico: gli eventi della guerra contro l’Ucraina, in prossimità dei nostri confini, ci mostrano invece un’Unione Europea più presente e coesa a difesa delle democrazie e dei propri valori fondanti. Ma allora è vero che ci vogliono delle crisi affinché l’Europa si svegli e faccia progressi nella sua coesione interna e verso una politica europea di difesa?
È vero che le crisi, paradossalmente, hanno spesso accelerato il processo di integrazione europea. Lo abbiamo constatato anche durante la pandemia da COVID-19, con la presa di decisioni sulla mutualizzazione del debito (Piano Next Generation EU) e sugli acquisti congiunti di vaccini. In realtà la Politica di Difesa era stata il primo embrione di un progetto europeo già nel 1952; il progetto di Trattato sulla Politica Europea di Difesa, la CED, fallì invece per l’opposizione della Francia. Ma solo due anni dopo, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la CECA, i sei Stati Membri fondatori ebbero il coraggio politico di mettere in comune le industrie e le “risorse” per lo sviluppo economico, gettando così le basi per la ricostruzione post-bellica e per una crescita poderosa.
Certo, non abbiamo ancora una politica europea di difesa, ma ricordiamo che l’Unione europea di oggi è, sul piano internazionale, il progetto politico di maggior successo di questo secolo e del precedente; io che viaggio molto per il mio lavoro vedo paesi di tutto il mondo che ci invidiano questa costruzione di pace.
Ma, per capirci, se una politica europea di difesa ancora non c’è, come fa l’Europa a intervenire in difesa dell’Ucraina, anche tramite la fornitura di armi?
Dobbiamo sapere da dove veniamo per vedere dove dobbiamo andare…
Fammi fare un passo indietro, e citare l’articolo del Trattato di Lisbona del 2009 (il Trattato che istituisce l’attuale Unione Europea), che recita: “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti dei minori, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”. Questo è il quadro politico e giuridico nell’ambito del quale l’Unione è autorizzata ad agire. Nella crisi ucraina, dunque, l’Unione non è solo politicamente e moralmente impegnata a rispondere, ma è anche giuridicamente obbligata a farlo.
Alla guerra di aggressione scoppiata ai suoi confini, davanti a una crisi senza precedenti, l’Europa ha scelto di impegnarsi:
- per la prima volta l’UE ha imposto sanzioni durissime alla Russia (siamo al “5° pacchetto”), in partnership con USA, Giappone e Corea;
- per la prima volta ha scelto di investire e finanziare l’invio di armi a un paese terzo. Voglio sottolineare che questo finanziamento non è pagato dal bilancio UE; si tratta invece di uno strumento intergovernativo della “European peace facility” nel quale gli Stati membri, insieme, decidono di finanziare un approvvigionamento di armi all’Ucraina;
- per la prima volta è stato utilizzato lo strumento di solidarietà della direttiva n.55 del 2001, e cioè l’istituzione di un meccanismo di protezione temporanea in risposta all’afflusso di sfollati dall’Ucraina. Alle persone ammissibili sarà concesso uno status analogo a quello dei rifugiati, in qualsiasi paese dell’UE, per un periodo di un anno, rinnovabile;
- per la prima volta è stata lanciata un’iniziativa diplomatica europea, una “démarche” in grande stile. Grazie al Trattato di Lisbona, l’Europa dispone infatti ormai di un vero e proprio Servizio Diplomatico, il Servizio Esterno di Azione Europea – quello dove lavoro io a Bruxelles – che gode della presenza capillare di circa 140 Ambasciate in tutto il mondo, presso i paesi terzi e tutte le Organizzazioni internazionali. Questo ha permesso di sensibilizzare i paesi partner in occasione del voto ONU di condanna dell’invasione russa in Ucraina. È stato un successo diplomatico: 140 Stati hanno condannato l’invasione, molti si sono astenuti. Soprattutto in Asia, si sono verificati interessanti spostamenti di alcuni paesi dalle loro tradizionali posizioni: Bangladesh e Singapore per esempio, per la prima volta hanno votato contro la Russia e Singapore è il cuore pulsante, economico e finanziario, del South East Asia.
L’UE ha ormai uno status di attore credibile sul teatro internazionale e dotato di leve di forza importanti nei confronti dei paesi terzi:
- è il primo investitore globale al mondo per massa finanziaria (investimenti nei paesi extra UE), con €11.600 miliardi. Gli USA sono a €6.800 miliardi, la Cina a €1.900, il Giappone a €1.500;
- con il proprio bilancio e quello dei suoi Stati membri, è il maggior contributore globale di fondi di aiuto allo sviluppo e ha un peso rilevante con la sua forza commerciale.
Tutto questo fa sì che ormai l’Europa debba far giocare meglio la propria autorevolezza, tutta insieme, sulla scena mondiale.
Mi hai fatto un quadro positivo. Ma non tutto è roseo, non tutto è fatto…
L’Europa è ora effettivamente a uno snodo, davanti a scelte fondamentali: L’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Borrell (che è stato a Kiev con la Presidente Von der Leyen) ha detto che l’Unione europea deve “pensare strategicamente a cosa fare: non è più un lusso ma una necessità”.
I progressi stanno avanzando in diversi ambiti:
- in primis, la Politica di Difesa: due settimane fa la Commissione europea ha varato la proposta sul Global Compass (la Bussola Globale), che prevede un aumento della capacità europea di difesa in uno spirito europeo, e non nazionale dei singoli Stati membri. Che significa? Significa che già oggi l’Europa, come sommatoria di spese per la difesa fatte dai singoli Stati membri, spende ben €200 miliardi/anno, più di India, Russia e Regno Unito messi assieme. La proposta sul Global Compass prevede però che questa capacità di spesa venga razionalizzata, che la qualità di spesa venga migliorata, evitando doppioni e inefficienze;
- inoltre, occorre ripensare le catene di approvvigionamento energetico, ridurre cioè la dipendenza dalla Russia sulla quale l’UE si è appoggiata per lungo tempo. Troppo tempo: un cambio di rotta è necessario e già si sta verificando anche da parte degli Stati membri più energeticamente dipendenti, come la Germania, la quale ha chiuso il gasdotto North Stream 2, o come l’Italia, che sta cercando forniture alternative di gas in altre parti del mondo.
Ma non dimentichiamo che in un altro settore, di cui ancora poco si parla, serpeggia un nuovo tipo di crisi, quella alimentare. La Russia e l’Ucraina, insieme, producono il 19% dell’orzo mondiale, il 14% del frumento e il 4% del mais. L’Africa ne dipende fortemente e gli approvvigionamenti sono già in sofferenza. Trecento milioni di africani sono a rischio di penuria alimentare; paesi già molto poveri soffriranno di fame e carestie, con in prospettiva tensioni sociali e problemi di sicurezza.
Vorrei chiederti ancora tante cose: la domanda di adesione all’UE da parte dell’Ucraina, la prospettiva probabile di adesione alla NATO da parte di Finlandia e Svezia…. Ma abbiamo tempi stretti e rimandiamo a una prossima volta! Ti chiedo invece di concludere parlando di prospettive future: usciremo da tutto questo?
Difficile concludere a oggi con una nota positiva. Ma vorrei dire comunque una cosa. Indipendentemente dalla tragedia politica e umanitaria che si svolge ai nostri confini, io mi sento orgoglioso, e credo che dovremmo essere tutti orgogliosi, di essere europei e di come l’Europa abbia reagito con unità di intenti e con risposte unanimi a una crisi senza precedenti. A Parigi, Roma, Berlino, Varsavia si è parlato la stessa lingua, affermando con forza che un’ aggressione del genere, una rottura delle stato di diritto, non può restare impunita.
Un’UE più decisa, più assertiva, deve basarsi non solo su una coesione di intenti tra i Governi nazionali, bensì sul fatto che i suoi cittadini abbiano percezione, coscienza e consapevolezza che la loro sicurezza, gli interessi e i principi sui quali è basata la loro vita di oggi sono fortemente minacciati. Solo con questa base condivisa di consapevolezza l’Europa potrà fare dei progressi e realizzare i suoi progetti di lungo periodo. Gli Stati membri hanno bisogno dell’appoggio consapevole dei loro cittadini. Perché ricordiamo che, in ultima analisi, l’UE può solo fare quello che i suoi Stati membri le permettono!
Marina Manfredi Magillo
Membro della Commissione Pubblica Immagine del Distretto 2041